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Immagine del redattoreAntonio Arricale

VOTERO’ PER LA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI, E VI SPIEGO PERCHE’

L’Italia avrebbe bisogno di una legge elettorale seria, capace cioè di garantire almeno tre obiettivi: governabilità del Paese, rappresentanza del corpo elettorale, selezione della migliore classe dirigente possibile. Una legge scritta sulla roccia e, dunque, inserita in Costituzione, al riparo dei rimaneggiamenti di comodo della casta di turno.

Dubito, però, che si farà mai, anche se puntualmente se ne parla.

E se ne parla anche (e soprattutto) ora che sul tavolo incombe il referendum per la riduzione del numero dei parlamentari. Un argomento che non mi affascina più di tanto, ma che non trovo negletto alla luce degli argomenti che soprattutto i “contrari” – ovvero i fautori dello statu quo nunc – mettono sul piatto, incuranti dell’architettura (assai brutta) statuale che intanto il Paese ha assunto sotto il peso di una serie di riforme avulse, inutili e inopportune, per non dire addirittura farlocche (modifica del titolo V, regionalismo federale, abolizione delle province eccetera).

L’attuale numero di parlamentari del Belpaese è di 630 deputati, 315 senatori e 5 senatori a vita oltre ai presidenti emeriti della Repubblica. Quasi mille. Un’enormità. Un numero che colloca l’Italia al primo posto nella classifica dei paesi europei, anche in rapporto al numero degli abitanti che comunque è inferiore, tanto per notare, rispettivamente a quello di Germania, Francia e del non più comunitario Regno Unito.

La riduzione andrebbe a scapito della rappresentatività del corpo elettorale, si dice. Ma così non è. Non per i maggiori paesi europei, almeno, di cui tutto può dirsi, tranne che siano meno democratici del nostro.

Peraltro, gli alfieri dello stato attuale delle cose non tengono conto del fatto che nel frattempo, con l’avvento delle Regioni e lo straripamento delle stesse dal mero potere programmatorio pure assegnato loro dalla Carta costituzionale, ci sono altri 1.111 parlamentari in più, cui per status politico, economico e sociale i consiglieri regionali si sono arbitrariamente equiparati.

Con una notevole incongruenza in più, peraltro. E, cioè, che pure essendo il Parlamento gerarchicamente il gradino più alto della rappresentanza politica e dunque al di sopra del Consiglio regionale, con le regole attuali per essere eletto deputato il candidato è chiamato ad attingere voti in un bacino (collegio) elettorale più piccolo o comunque non più grande rispetto a quello richiesto per il Consiglio regionale. Se, dunque, una questione di rappresentanza si pone – ad di là del numero già ora esorbitante – essa andrebbe riferita anche e soprattutto in rapporto al ruolo da svolgere, di visione politica nazionale e internazionale e perciò sicuramente più vasta rispetto al più angusto, limitato territorialmente, ambito regionale.

Ma, ripeto, l’argomento in sé non mi affascina più di tanto, soprattutto poi se è posta – come taluni fanno – nei termini fuorvianti di contrapposizione tra politica e antipolitica: semplicemente trovo logico e del tutto coerente, stante l’attuale impalcatura istituzionale, alla fine votare per la riduzione dei parlamentari.

Certo, se poi questo si rivela anche l’unico mezzo per lasciare nella cloaca quei farabutti che non avvertono lo scorno di sommare ad una già lauta e principesca indennità di carica, oltre a tanti altri e ingiustificabili privilegi, anche il misero contributo anti-Covid, ben venga.

In questo caso la colpa non è dell’anti-politica o del populismo, che dir si voglia, ma dello stesso Parlamento che, trincerandosi dietro la falsa interpretazione della norma sulla Privacy, non riesce o vuole fare pulizia nel suo seno per ridare dignità e decoro alla massima istituzione rappresentativa della volontà popolare.


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