I dati erano già noti, ma questo non ha impedito, nello scorcio di una brutta campagna elettorale, ai corifei di turno di intonarla a proprio modo. Tanto più se si tratta, poi, di dati di segno positivo, ma che, a medaglia rovesciata, si possono leggere all’incontrario, finendo così per avvelenare ulteriormente il pozzo già inquinato della politica.
Ad ogni modo, ricapitoliamo. L’Istat ha confermato che nel 2017 il nostro prodotto interno lordo è cresciuto all’1,5%, dunque, di qualche decimo oltre le aspettative. In più, anche il debito è stato registrato in lieve diminuzione e precisamente al 131,5% rispetto al 132% del 2016. È calato, inoltre, anche il deficit in rapporto al Pil, che è stato registrato all’1,9% rispetto al 2,5% dell’anno precedente. Rispetto al tema della crescita, però, l’Istat ha pure ricordato che l’Italia resta comunque il fanalino di coda dell’Europa. E già questo aspetto la dice lunga, secondo i “contrarian”.
Ma la confusione aumenta, se possibile, ancor di più quando si parla di lavoro, meglio di occupazione. “Mai così tanta gente al lavoro in Italia”, sottolineavano appena un mese fa sia il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che il segretario del Pd Matteo Renzi. Nella circostanza, però, il dato era riferito al mese del precedente novembre, quando risultarono lavorare in Italia 23 milioni 183 mila persone. Un dato eccezionale, non c’è che dire, eppure non mancarono quanti fecero notare, soprattutto dall’opposizione e dal fronte sindacale, che “i nuovi posti di lavoro sono quasi tutti instabili e precari e che il tasso di disoccupazione in Italia è ancora tra i più alti in Europa. Soltanto Spagna e Grecia vanno peggio di noi”.
Figuriamoci oggi, con sempre l’Istat che annuncia: “La disoccupazione a gennaio è risalita all'11,1% (+0,2 punti percentuali rispetto a dicembre). Il tasso non aumentava da luglio scorso. La stima delle persone in cerca di occupazione è tornata a crescere (+2,3%, +64 mila) dopo cinque mesi consecutivi di calo. Apriti cielo.
E, però, sempre per effetto del rovescio, l’Istat sottolinea: “I dati tuttavia risultano in discesa su base annua (-147 mila). Si contano infatti 2 milioni e 882 mila disoccupati”. Certo, ci sarebbe tutta l’articolazione di fasce di età da analizzare, ma il risultato alla fine non cambia: il bicchiere non è pieno, ma nemmeno del tutto vuoto. Come sempre.
Sta di fatto che, abbandonata la polemica sulla crescita, nei refrain dei partiti in lizza s’è udita alla fine molta propaganda e poche proposte concrete in tema di tasse, assistenza, pensioni, immigrazione, sicurezza e scuola, vale a dire, gli argomenti più gettonati dai candidati. O meglio, s’è detto di tutto e il contrario di tutto – come ha rilevato l’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica, diretto dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli – perdendo spesso di vista il dato concreto: le risorse. Le quali, da qualunque punto di vista le si guardi, restano purtroppo poche. E c’è il rischio concreto, anzi, che se applicate alla lettera le ricette proposte dai partiti, finiranno per aggravare la situazione già drammatica del debito.
Peraltro, tra gli argomenti della campagna elettorale, per mera diacronia, non è entrato il tema della guerra commerciale scatenata in queste ore dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale ha annunciato nuovi dazi su acciaio e alluminio, facendo sprofondare tutte le piazze finanziarie, con Milano in testa, trascinata al ribasso dai titoli del comparto automobilistico.
“Quando un Paese (gli Usa) perde molti miliardi di dollari nel commercio con praticamente ogni Paese con cui fa affari, le guerre commerciali sono giuste e facili da vincere", ha twittato il numero uno della Casa Bianca. E ha aggiunto: “Per esempio, quando siamo sotto di 100 miliardi di dollari con un certo Paese e loro fanno i furbi, non facciamo più affari con loro, e vinceremo alla grande. E' facile!”.
Niente panico, però. La replica dell’Ue è stata immediata. “L'Unione europea reagirà con decisione e in modo proporzionato per difendere i suoi interessi” ha dichiarato Jean Claude Juncker.
Ma non stiamo a dirlo troppo in giro, soprattutto non lo diciamo ai nostri candidati premier.
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