Nulla di fatto. Come da copione. Nuovo giro di consultazioni del Quirinale. Non c’è una maggioranza di governo. Nessun partito o coalizione ha vinto le elezioni e può far, dunque, da solo. Ora, finalmente, al di là dei rigurgiti propagandistici del dopo elezioni, anche i ciechi vedono che il re è nudo. Insomma, le vittorie parziali di Lega e centrodestra, da una parte, e M5S dall’altra, fanno due mezze vittorie, non una intera. Le liturgie della politica prevedono, a questo punto, un lungo lavorio di “moral suasion” – come si dice – da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per trovare la quadra. Ma non è facile. Lo sbocco, nelle migliori delle ipotesi, sarà un governo di scopo, una sorta di grande alleanza alla tedesca, con un programma non proprio facile da realizzare. Diversamente, non resterà che tornare alle urne. Al più tardi in autunno, magari con una legge elettorale riveduta e corretta. Staremo a vedere. Pensavamo di essere entrati nella Terza Repubblica, siamo invece ripiombati nella Prima. Con tutti i contro del caso e nessun pro, sembrerebbe.
Ma la notizia della settimana non è questa. E nemmeno la guerra commerciale, per ora solo minacciata, dagli Usa alla Cina, che però ha già provocato molti danni ai mercati finanziari. Le borse, questa settimana, sono state sulle montagne russe dove, ovviamente, le discese sono sempre più ripide e veloci rispetto alle risalite lente e faticose. Ma non lasciatevi intristire dalle favole dei miliardi andati in fumo. I soldi, per la più elementare legge del mercato, sono semplicemente passati di mano. E’ la finanza, bellezza.
Altra cosa è l’industria, dove alla fine conta il prodotto e chi lavora. E su questo fronte le cose sembrano di nuovo mettersi per il meglio. Nel senso che la disoccupazione è tornata a scendere a febbraio e sia il reddito che la spesa delle famiglie è registrata al top degli ultimi sei anni.
Dunque, la tanto temuta guerra commerciale per ora non ci tange. Anzi, in un qualche modo ci avvantaggia. Come si dice, tra i due litiganti il terzo gode. In particolare, a beneficiare del clima di tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina potrebbe essere la nostra industria agroalimentare, che pure già gode di ottima salute. La Coldiretti non ne fa mistero. Giusto un esempio: “Gli Stati Uniti – sottolinea l’associazione – hanno esportato vino in Cina per un valore di 70 milioni di euro in aumento del 33% nel 2017 e si collocano al sesto posto nella lista dei maggiori fornitori, immediatamente dietro all’Italia”. Non tutti i mali vengono per nuocere. E il ragionamento vale un po’ per tutto il settore dell’industria primaria. Basti pensare che solo nel 2017 l’export italiano agroalimentare in Cina ha segnato un aumento del +18%, superando i 448 milioni di euro in valore. Oltre al vino, bene l’olio d’oliva che con 37 milioni di euro segna una crescita del 25%. Crescita a due cifre anche per i formaggi le cui esportazioni sono aumentate del 27% seppur con un valore ancora limitato di 16 milioni di euro e infine la pasta che sale del 14% vicino ai 23 milioni di euro. Dunque, paradossalmente si aprono nuovi spazi.
La notizia della settimana, dicevo, è la decisione della Cassa depositi e prestiti di accaparrarsi il 5% del capitale sociale di Telecom Italia. Vi risparmio le vicende societarie dell’ex azienda monopolista pubblica che forse non appassionano più di tanto, così pure i malcelati fendenti che dietro le quinte si stanno dando i governi di Roma e Parigi. La motivazione ufficiale dell’intervento della controllata del ministero dell’Economia e fondazioni bancarie è la necessità – si dice – di “tutelare gli interessi di sistema”. Sarà. Senza entrare nel merito di una discussione assai complessa, la domanda però che molti entusiasti commentatori dovrebbero farsi è questa: l’operazione è compatibile con la “mission” dell’istituto che, come si sa, si alimenta del risparmio postale, vale a dire da individui che tutto hanno fuorché un orizzonte speculativo?
Nell attesa, un’altra notizia che pure è passata sotto silenzio o comunque non meglio approfondita. Uno studio della Banca d’Italia sul fenomeno della migrazione in Italia sostiene che siamo più poveri di vent’anni fa. La migrazione, insomma, da una parte è servito a sostenere i parametri demografici, dall’altro ha contribuito appunto alla crescita dei livelli di povertà.
Ce n’è da meditare, in attesa della prossima ondata di populismo in arrivo oltre che con le carrette del mare anche probabilmente con le nuove elezioni.
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