Venti di guerra soffiano con l’Anno Nuovo. Guerra di parole, per ora, fortunatamente. Ma in ogni caso che generano non poche apprensioni, sia che si guardi alle vicende internazionali, sia a quelle terra-terra di casa nostra.
La schermaglia, per dire, tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e la guida suprema della Corea del Nord, Kim Jong-un, sulla grandezza dei rispettivi bottoni va ben oltre l’ilarità suscitata dal doppio senso prontamente colto dalle migliori penne e matite satiriche dei media. Il fatto, però, è che il bottone, nella realtà, è il pulsante che attiva i missili nucleari dei rispettivi arsenali, che ciascuno dei nostri protagonisti si dice pronto a schiacciare. E siccome la stampa nostrana ci consegna giornalmente, dell’uno e dell’altro leader, un’immagine non proprio rassicurante, alla fine c’è poco da riderci su.
Così come – saltando di paolo in frasca – c’è poco da ridere sulla “guerra dei sacchetti” della spesa al supermarket che ha ufficialmente aperto le ostilità politiche dei partiti nostrani in vista delle elezioni nazionali di marzo. D’accordo sul recepimento della norma comunitaria, sulla tutela dell’ambiente, l’irrisorio costo del prodotto, il brevetto, eccetera: ma che bisogno c’era di imporne ope legis l’obbligo di acquisto? Negli altri paesi europei che pure hanno adeguato i propri agli standard UE, ciò non è avvenuto. Ecco, allora, il fiato alle voci che si rincorrono sull’ad di Novamont (l’azienda titolare del brevetto della plastica biodegradabile) Catia Bastioli e la sua supposta amicizia con Matteo Renzi e la sua presenza alla Leopolda.
Precisiamo: anche prima il consumatore pagava, in proporzione e in via indiretta, i costi di gestione dei supermarket, sacchetti compresi, perché dunque insistere, ora, in maniera così netta e categorica sulla presenza della voce e del costo sullo scontrino? Misteri della politica o della burocrazia?
Il fatto è che la notizia sul pagamento del sacchetto è arrivata a ridosso degli aumenti di oltre il 5% di gas, luce e autostrade (per la famiglia tipo si parla di un aumento di circa 535 euro, il 7,5% in più) entrati in vigore con il 2018. Ce n’è, a ben vedere, di arrabbiarsi. Tanto più che nei tg non si fa altro che parlare, guarda caso, dell’abbassamento del deficit statale e della pressione fiscale (che comunque pure resta oltre il 40%) e, contemporaneamente, dell’aumentata propensione al risparmio e del potere di acquisto degli italiani. Insomma, dato l’aria che tira, chi ci capisce e si fida è bravo.
Anche perché, tra propaganda e informazione il confine è molto sempre labile, come i lettori sanno. Prendiamo, ad esempio, la polemica (altra guerra di parole) scoppiata tra Romano Prodi, il padre dell’Ulivo che ha battuto per ben due volte Silvio Berlusconi, a sua volta rinata bandiera del centro-destra, sulla cattiva gestione del passaggio dalla lira all’euro. E dunque, è certo ormai: ci furono errori e responsabilità, sia quando fu decisa l’adesione (per cui Berlusconi accusa Prodi) e sia al momento dell’entrata in vigore (per cui Prodi accusa Berlusconi). "Il 1 gennaio del 2002, quando la moneta unica fu introdotta, Berlusconi governava da sette mesi e per i 3 anni successivi non ha fatto assolutamente nulla”, ha detto l’ex presidente della Commissione europea, ex presidente dell’Iri ed ex presidente del Consiglio.
Ma a proposito di valute, anzi, di criptovalute. La guerra (un’altra) che la finanza ufficiale – quella delle grandi banche, per intenderci – sta muovendo ai Bitcoin e a tutti gli strumenti nati dalla tecnologia blockchain diventa sempre più evidente. Da ultimo, è stato Ewald Nowotny, capo della banca centrale austriaca e, in questa veste, autorevole membro della Bce a sparare a palle incatenate contro le nuove monete: dovrebbero essere regolamentate e tassate, ha detto. Peraltro, attraverso i bitcoin la criminalità ricicla un fiume di denaro in modo spensierato. È vero. Tassare le criptovalute però è mera fantasia. Senza contare, poi, che alla segretezza della tecnologia le banche non solo guardano con interesse, ma alcune già ne stanno applicando i protocolli.
E giusto per restare in tema, lo sapevate che la criptovaluta che va per la maggiore, e cioè appunto Bitcoin, in quanto a performance è stata battuta da Ripple? La seconda, infatti, ha guadagnato in valore la stratosferica percentuale del +36.018% rispetto ad un modesto (si fa per dire) +1.318% della prima.
Infine, la guerra alla sicurezza dei processori che mette a rischio pc, smartphone, tablet e altro ancora (si pensi all’analoga tecnologia applicata dalle case automobilistiche) in tutto il mondo. Intel, intanto, ha perso in borsa il 4,5%. E, però, guarda caso, il Ceo Brian Krzanich, nel novembre scorso ha venduto azioni di Intel per 24 milioni di dollari. Un caso? Può darsi.
Nelle guerre, a vincere, non sono solo i più forti, anche i più furbi.
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