Fioramonti, ministro dell’Istruzione, si dimette per protestare la mancanza di fondi assegnati in finanziaria al suo dicastero per sostenere – come pure avrebbe voluto, dice – la ricerca.
Si dimette da ministro, #Fioramonti, ma da deputato continuerà a supportare – sostiene – il presidente del Consiglio #Conte, ovvero, colui che avrebbe dovuto (ma non ha voluto o non ha potuto) allentare i cordoni della borsa.
Il presidente del Consiglio, dal suo canto, invece di dire come stanno veramente le cose e, cioè, che è tempo di magra, che non ci sono soldi (quei pochi – peraltro insufficienti – racimolati con giochi di prestigio, sono serviti infatti per disinnescare, almeno nell’immediato, l’aumento dell’Iva; finanziare il #reddito di cittadinanza (misura che alimenta, tra le altre storture, come raccontano fatti recenti di cronaca, il lavoro nero); per puntellare Quota 100 e via discorrendo) il presidente del Consiglio, dicevamo, ha pensato bene non di porre, eventualmente, un pezza, ma di lasciare andare Fioroni senza colpo ferire e, anzi, duplicare le spese del dicastero, dividendolo in due: Università e Scuola. Perché, poi, ha sottolineato con convinzione: i due settori hanno diverse esigenze. Come dire (e Conte lo ha anche detto): non sono parte del medesimo sistema formativo.
Dei due nuovi ministri non dico: uno, persona perbene, è comunque espressione dio quel sistema baronale duro a morire e che fa assai più male alla ricerca che non l’insufficienza dei fondi; l’altra, parimenti perbene (non ho motivo per dire diversamente) è figlia – dicono – della legge 107. Amen.
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