di Antonio Arricale
Per l’Europa dei burocrati e dei banchieri i nodi cominciano a venire al pettine.
Ieri la moneta unica ha toccato il livello più basso da vent’anni (più o meno dalla sua introduzione) contro il dollaro, a 1.024. Non che la parità con la moneta americana costituisca un tabù. Se n’è parlato infatti più volte, in passato, e senza eccessivi drammi. Anzi. E però la contingenza storico-politica di questi giorni restituisce evidentemente l’immagine del nuovo rapporto di forza valutario in tutt’altra ottica.
Secondo i più attenti analisti – illuminante in proposito l’articolo di Paolo Annoni oggi su “il Sussidiario.net” - l’idea che sta passando tra gli investitori è che il rallentamento economico in Europa sia più grave di quanto appaia. E, forse, anche di difficile soluzione. Almeno nell’immediato.
Al di là della sigla Ue, infatti, l’Europa ha davvero poco di Unione, nel senso veramente politico del termine. Peraltro, e con la guerra alle porte, si presenta sul proscenio mondiale come una potenza del tutto anomala. Non ha un esercito, non ha una politica estera, non ha una politica fiscale, non ha autonomia energetica, non ha autonomia alimentare, addirittura non ha nemmeno una vera e propria banca centrale.
Ieri, dunque, non soltanto l’euro si è deprezzato, ma è avvenuto anche qualcosa apparentemente di paradossale. Contro lo spettro della recessione, infatti, è sceso anche il prezzo del petrolio (101,10 dollari, con un tonfo del 9,45%); ed è sceso anche il prezzo del gas americano, che oggi costa il 40% in meno rispetto ai massimi di fine maggio. Anche se ancora due volte in più rispetto ai valori di gennaio dello scorso anno.
Di contro che cosa avviene nel Vecchio Continente? L’esatto opposto. Il prezzo del gas europeo continua infatti a quotare dieci volte in più rispetto ai valori del gennaio 2021.
E’ evidente che, in questo scenario, la potente economia manifatturiera e di trasformazione europea, con Germania che fa da locomotiva e Italia e Francia a rimorchio, difficilmente potrà sostenere la crisi, sicché il rapporto di cambio tra euro e dollaro in fondo è semplicemente la fotografia della realtà dei fatti. Di una debolezza intrinseca di difficile soluzione.
Occorrerebbe, allora, un cambio di passo, ma prima che economico, politico, anche se non sembra, al momento, questa, la prima delle preoccupazioni tra i leader europei. I quali continuano, anzi, a ragionare come se i problemi fossero soltanto dei Paesi mediterranei, con l’Italia in testa. Dimentichi, peraltro, che, a ben vedere, la Germania sta messa anche peggio. La bilancia commerciale tedesca, infatti, è andata ufficialmente in rosso (fatto che non accadeva dal 1991, anno successivo alla riunificazione). E il gigante del gas Uniper è praticamente “fallito”, se Bonn non decide di salvarlo con i soldi pubblici. Dunque, con un aiuto di Stato, con buona pace della concorrenza interna all’Unione.
Ma non ditelo ai rappresentanti dei Paesi frugali.
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