La gestione politico-amministrativa assai deludente, se non addirittura colpevolmente approssimativa, di quest’ultimo anno flagellato dalla pandemia ha evidenziato – tra i tanti – alcuni nervi scoperti e però vitali del Sistema Italia.
Due, in particolare, in via primaria assolutamente urgenti da affrontare e magari risolvere con prontezza, determinazione e coraggio: 1) la ridefinizione (se non addirittura l’abolizione) del ruolo delle Regioni; 2) la riforma e riordino della Magistratura e, in generale, della Giustizia. Temi, peraltro, che gravano pesantemente sull'asfittica economia del Paese.
E si tratta di due riforme, però, che, alla luce di situazioni scandalose, paradossali e gravissime che emergono giorno dopo giorno sui media (pochi coraggiosi, in verità) e, dunque, proprio in considerazione della temporanea e oggettiva “debolezza” degli intoccabili “sacerdoti” che da sempre si oppongono a questo processo e ne ostacolano anche il più timido tentativo, una classe politica seria, preparata, competente e responsabile coglierebbe come momento particolarmente favorevole per finalmente intervenire con decisione e in profondità.
Ma le due questioni non sono in agenda, mi pare.
I Nostri invece sono in “tutt’altre faccende affaccendati”. E si capisce: in ballo ci sono solo poltrone (le loro), salvaguardia dei privilegi (i loro) e la mera gestione del potere (sempre loro).
Ah, c’è pure Conte, che fino al giorno prima era un signor nessuno pescato chissà dove e su indicazione di chi, in ogni caso tutt’altro che un novello Churchill, il quale ai già sfibrati italiani si presentò – ricordo – come “avvocato del popolo”.
E già questo avrebbe dovuto metterci in guardia. In genere, infatti, non so voi, ma io al primo bisbiglio della parola avvocato vado inevitabilmente con la mente alla greve barzelletta di quell’uomo di legge che, nell’interpretare le carte per il malcapitato cliente, diceva: “…qua ce li inc…, qua invece ti si inc…”. Insomma, avete capito.
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