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Immagine del redattoreAntonio Arricale

L’ARRIVO DI DRAGHI RAFFREDDA LO SPREAD (DI CUI LA BCE PERO’ SPESSO E’ IL MANOVRATORE)





Effetto Draghi (nella foto) sui mercati. Piazza Affari scatta al rialzo (+2,92%) alla notizia del possibile incarico di governo a "Mr. Whatever it takes" ("qualsiasi cosa", sottinteso: pronto a fare). E così lo spread - giusto per notarlo - che è sceso precipitosamente fino a quasi vedere quota 100, attestandosi per il momento a 103 punti base, con un calo di quasi il 10 per cento (da 116,22).

La stima dei mercati per Super Mario, l’italiano che ha guidato con diplomatica fermezza la Banca Centrale Europea (Bce) dal 2011 al 2019, è fuori discussione. Di più: Draghi può a ragione considerarsi il vero salvatore dell’euro.

Ma non è del banchiere che qui interessa parlare, quanto della banca, ovvero della Bce, istituzione per certi aspetti anomala, sia per organizzazione che per missione, in seno all’apparato del sistema comunitario.

Infatti, nessuno toglie dalla testa di almeno larga parte dell’opinione pubblica italiana – la stessa che negli ultimi anni ha soffiato vento in poppa dei sovranisti nostrani (ma non solo) – il sospetto che fosse proprio la Bce a tenere in pugno, per non dire sotto ricatto, i governi deboli dell’Unione Europea. O, comunque – per dirla diversamente – a non tutelare sufficientemente dall’attacco speculativo della finanza internazionale i governi dei paesi Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).

In che modo? Agendo, appunto, sullo spread, vale a dire, il differenziale del rendimento dei titoli di stato italiano (o dei Pigs) rispetto a quelli tedeschi, presi a misura di riferimento in quanto espressione di un’economia forte (ma anche – diciamola tutta – di governi seri).

Un sospetto, a dire il vero, quello della manipolazione dello spread che non è del tutto campato in aria. Questo, almeno, stando all’articolo di un’autorevole fonte giornalistica, vale a dire l’agenzia di stampa economico-finanziaria Bloomberg, pubblicata nei giorni scorsi.

Che cosa ha scritto, dunque, Bloomberg (ovviamente, nella pressocché indifferenza generale dei media)? Semplicemente questo.

Una premessa è d’obbligo. Tutte le banche centrali mantengono sotto controllo la curva dei tassi d’interesse, di modo che quelli a breve siano sempre inferiori a quelli a lungo termine. Una curva dei tassi “in ordine” rassicura, infatti, gli investitori dei titoli di stato ed evita pericolosi scompensi di mercato che si ripercuoterebbero sui bilanci dei governi che emettono, appunto, tali titoli.

E, tuttavia, diversamente che per le altre banche centrali, per la Banca centrale europea il controllo della curva dei tassi è molto più complicato. Infatti, le altre banche centrali devono regolare i tassi dei titoli emessi da un solo paese di riferimento. La Bce invece deve calibrare i tassi su ben 19 titoli diversi, emessi appunto dai paesi che hanno come valuta l’euro.

Supponiamo, infatti, che il tasso ufficiale a lungo termine per l’eurozona venga fissato allo 0,5%. Dal momento che ciascuno dei 19 paesi che hanno l’euro emette i suoi propri titoli di stato a lungo termine, è necessario che i tassi di tutti questi paesi si armonizzino tra loro in modo da rispettare nel complesso il tasso ufficiale allo 0,5%.

Visto che le obbligazioni emesse da paesi come Italia, Spagna, Grecia, ecc. tendono ad avere tassi maggiori in relazione alle loro economie più deboli, ecco che la Bce deve acquistare maggiori quantità di questi titoli, per rendere i loro tassi paragonabili a quelli di paesi come la Germania, l’Olanda eccetera.

Se la Bce non facesse questo, il mercato percepirebbe che i tassi di questi titoli sono destinati a salire e quindi venderebbe i titoli in questione, innescando un effetto a cascata in cui le vendite aumentano i tassi, e questi incrementano vendite, e così via…

Sia chiaro: finora la Bce è sempre riuscita ad evitare eventi del genere, modulando gli acquisti dei titoli di stato dei vari paesi in modo da “pareggiarne” i tassi.

Stranamente, però, come accennavamo, in occasione di alcune crisi politiche italiane particolarmente invise alle cosiddette élites, questo equilibrio è sembrato andare fuori controllo, per poi ricomporsi una volta che la crisi era risolta.

Da qui la domanda, non del tutto peregrina, di quanti periodicamente si chiedono se questi squilibri “a comando” fossero intenzionali. E la risposta, secondo Bloomberg, non sembra lasciare adito a perplessità. Ciò detto, tuttavia, è evidente che se a Palazzo Chigi davvero arriverà a sedere Mario Draghi, il quale conosce a fondo tutte le dinamiche che muovo le mani forti del mercato, comprese quelle in seno alla Bce, gli italiani una certa fiducia e, dunque, garanzia dovrebbero riacquistarla.

Ben venga, allora, Draghi.


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