Mettere le imprese al centro. Industria, occupazione e crescita sono i termini noti della medesima equazione, si sarebbe detto a scuola. L’uno è il presupposto dell’altro: senza il primo non c’è il secondo e, a seguire, nemmeno il terzo. Ma per poter cogliere quest’obbiettivo ci vuole un piano. E ci vogliono le risorse, of course. E qui cominciano, al solito, i problemi. Le risorse sono sempre insufficienti e, in ogni caso, male impiegate. Ma ragioniamo per gradi.
Declinata nei diversi modi possibili, la “questione industriale” è stata al centro – e non poteva essere altrimenti – del dibattito delle Terze Assise Generali che Confindustria ha celebrato a Verona. A porte chiuse, questa volta. Nel senso che non sono stati invitati i politici. Ai quali, tuttavia, impegnati in una campagna elettorale finora vuota di veri contenuti, è stata rivolta la proposta emersa dal catino dei 7 mila imprenditori riuniti a Piazza Cittadella. A farsene latore, ovviamente, il presidente Vincenzo Boccia, il quale, nel lanciare “un messaggio ad un Paese che vuole passare dal resistere a reagire” e che deve “ritrovare il gusto della sfida”, per raggiungere lo scopo ha suggerito un percorso tutto sommato agevole e, soprattutto, di buon senso, racchiuso più o meno nelle tre semplici parole richiamata all’inizio: “Lavoro, crescita, debito”.
Ora, si dirà, rispetto al lavoro e alla crescita, un passo avanti è stato sicuramente fatto. Un passettino, ad essere pignoli. Rispetto al debito, alla necessità cioè di ridurre interessi e spesa pubblica improduttiva, nemmeno quello.
A incaricarsi di dire come le cose, per il Belpaese, effettivamente stanno, al di là della propaganda più o meno interessata delle forze politiche e degli editori che, nel gioco delle parti, le sostengono, ci sono i dati ufficiali. In primis, l’Istat, che nel 2017 stima la crescita all,1,4%. In particolare, sottolinea l’Istituto di Statistica, nel quarto trimestre dello scorso anno, il Pil è aumentato dello 0,3% sul trimestre precedente e, poco importa a questo punto, se è dell'1,6% su base annua. In ogni caso, il livello del Prodotto interno lordo (Pil) è ancora sotto i valori pre-crisi. Infatti, nonostante la ripresa in atto siamo ancora indietro del 5,7% raffrontando il quarto trimestre del 2017 al primo trimestre del 2008, quando si raggiunse il picco.
C’è poi la questione del debito. Al 31 dicembre del 2017 riferisce una nota della Banca d’Italia, il debito delle amministrazioni pubbliche era pari a 2.256,1 miliardi, con un aumento di 36,6 miliardi (complessivamente al 132%) rispetto ai 2.219,5 miliardi del 2016. Ma si potrebbe dire anche diversamente. E cioè: il debito pubblico italiano è tra i più alti d’Europa, secondo solo a quello della Grecia (177%) e Prima del Portogallo. Inutile sottolineare che la media europea è intorno all’80%, oppure che il livello massimo stabilito dal Trattato di Maastricht è il 60%.
A questo punto, però, qualcuno potrebbe obiettare: e i buoni risultati in tema di occupazione dove li mettiamo? E, però. anche su questo punto, occorre fare più di un distinguo. Dalla relazione trimestrale della Commissione europea, per esempio, emerge che la produttività del lavoro nell’UE è aumentata dello 0,8% rispetto al terzo trimestre del 2016. La più forte crescita si è registrata in Lettonia, Lituania, Polonia e Romania (del 3% o addirittura superiore rispetto all’anno precedente). Così come ha continuato a migliorare la situazione finanziaria delle famiglie europee, con un tasso di crescita circa quasi dell’1,5% rispetto all’anno precedente, dovuto principalmente ad un aumento del reddito da lavoro. “Ciononostante – sottolinea la Commissione europea – in numerosi paesi, come Croazia, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna e Paesi Bassi, il reddito disponibile lordo delle famiglie si è attestato ancora a un livello inferiore a quello del 2008”.
Peraltro, come ha detto il presidente della Corte dei Conti, Angelo Buscema, all’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Il miglioramento dei risultati economici e dei conti pubblici conseguito dall'Italia negli ultimi anni non consente di abbassare la guardia. L'uscita dalla recessione e la ripresa non pongono, infatti, ancora termine alle difficoltà quotidiane di tante famiglie”.
E torniamo al punto di partenza. Occorre un piano serio per creare condizioni nuove di sviluppo. E, forse, anche una nuova classe politica per attuarlo. Ma questo tocca agli elettori dirlo.
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