Alla fine i barbari ce l’hanno fatta: sono arrivati nella stanza dei bottoni e tranne i commentatori della cosiddetta stampa indipendente (quella degli editori – ad esser chiari – con forti interessi nella finanza, nelle banche e nelle costruzioni) non spaventano i mercati. Anzi, alla riapertura le borse europee hanno detto chiaramente di gradire, eccome, il varo del primo governo populista e sovranista sostenuto da M5S e Lega guidato dal professore Giuseppe Conte. Piazza Affari a Milano ha virato, infatti, al verde (+2,47 il guadagno al momento) ed il fatidico spread (cioè, il differenziale tra gli interessi sui Btp italiani e il Bund tedesco) è visto in discesa significativa (a 215 bp, in flessione di quasi il 16%) dopo le turbolenze dei giorni scorsi.
Insomma, i mercati – ripetutamente invocati in questi circa tre mesi di vuoto governativo, talvolta a ragione, molto più spesso a sproposito o strumentalmente – hanno sancito la più evidente delle verità: il peggiore degli esecutivi è in ogni caso preferibile al vuoto e all’incertezza politica. Che poi, diciamoci la verità, il giudizio di merito su di un di governo lo si può esprimere soltanto sulle politiche concrete che è capace di mettere in campo, non certo sulle intenzioni. Prendiamo ad esempio il caso di Donald Trump negli Stati Uniti, che fino ad ieri era messo giornalmente alla berlina dalla stampa radical chic americana da sempre sensibile al fascino frou frou del partito democratico: ebbene, alla prova dei fatti il giudizio sul tycoon presidente nell’opinione pubblica, non solo nazionale, è ora cambiato e di molto. A proposito, dopo averli minacciati, preannunciati e temporaneamente sospesi, l’amministrazione della Casa Bianca – anch’essa di evidente marca populista e sovranista, direbbero i colleghi nostrani – dalla mezzanotte di giovedì ha applicato i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio anche dall’ Europa oltre che da Canada e Messico. Dunque, anche dal Vecchio fedele e alleato Continente, con tutto quello che ne consegue. Soprattutto per noi italiani. Ma restiamo sereni: “Siamo pronti a far fronte a qualsiasi tipo di scenario e a difendere gli interessi Ue e il diritto commerciale internazionale”, ci rassicura il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas.
E qui si torna inevitabilmente al punto vero della questione e del dibattito che tiene banco da tre mesi ed, in particolare, nell’ultima settimana che ha preceduto e rischiato di far naufragare ancora prima del varo il governo Conte: e cioè, il ruolo e le regole dell’UE che, non a caso, il neo ministro agli Affari Europei, l’inviso (alla Germania e alla Bce) Paolo Savona, vorrebbe rinegoziare.
L’Europa unita, infatti, è percepita come madre per alcuni Paesi, in particolare quelli nordici e alemanni, e matrigna invece per quelli latini e periferici. Una sensazione alimentata, peraltro, dalle continue ingerenze e dai giudizi sprezzanti che, al di là dei giornali dell’establishment, sono sistematicamente pronunciati dai massimi rappresentanti delle istituzioni di Bruxelles soprattutto nei confronti del Belpaese. Non ultimo il solito presidente della Commissione – l’avvocato d’affari Jean-Claude Juncker che da primo ministro fece del Lussemburgo un paradiso fiscale – il quale ci ha perentoriamente redarguito: “Siete corrotti, lavorate di più e smettetela di lamentarvi dell’Europa”.
Del resto, per tornare allo spread, questa è una storia che un giorno sarà probabilmente raccontata in tutti i particolari, come del resto è già avvenuto a proposito del defenestramento (nel qual caso si è parlato, con una certa ragione, di complotto) dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Insomma, la sensazione è che dietro la tempesta dei mercati non ci sia stato soltanto la speculazione finanziaria privata, ma anche la mano di quella istituzionale: una mano che dovrebbe, semmai, accorrere con l’estintore non con la benzina, come da alcuni racconti emergerebbe.
Intanto, prendiamo atto e facciamo nostre le parole pronunciate dal governatore della Banca d’Italia in occasione della recente assemblea: “Il destino dell'Italia è quello dell'Europa", il cui sviluppo “determina il nostro e allo stesso tempo ne dipende”. Appunto.
Per concludere, tre notizie squisitamente economiche. 1) Ad aprile il tasso di disoccupazione resta stabile all'11,2%, riferisce l'Istat, che però precisa: ma sale al 33,1% quella giovanile, 13 punti in più del pre-crisi; 2) L'inflazione a maggio registra una significativa accelerazione, salendo all'1,1% dallo 0,5% di aprile; 3) Per il milione di lavoratori della Gig economy – un neologismo dall'americano gergale che indica i cosiddetti “lavoretti” e include molti atipici, compresi i riders –bisognerebbe introdurre un “salario minimo a prestazione”. Quest’ultima proposta – si badi bene – è del presidente dell’Inps Tito Boeri, non del neo ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Solo per precisare.
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