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Immagine del redattoreAntonio Arricale

CRESCE LA FIDUCIA, NON PER BANCA ETRURIA E NEMMENO PER I BITCOIN

Diciamoci la verità: di tutta questa pantomima davanti alla Commissione di inchiesta sulle banche il cittadino medio non ne può davvero più, avendo peraltro già tirato le somme di questo ambaradan da un pezzo. Nella vicenda della Banca Etruria c’è di tutto, evidentemente: lo scontro tra poteri più o meno forti e, forse, anche occulti; un conflitto di interesse grande quanto un macigno; un gruppo di politici che ha fatto scadere anche di più, nell’immaginario collettivo, il livello di reputazione nutrito nei confronti della classe politica. Insomma, il cosiddetto “giglio magico” – qualche nome giusto per ricordare: Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Marco Carrai (fedelissimo dell’ex premier dopo l’esordio in politica con Silvio Berlusconi e tuttora socio del di lui figlio, Luigi), Luca Lotti e si potrebbe continuare per molto ancora – in appena un paio d’anni è riuscito a polverizzare il mito del sistema creditizio italico costruito in almeno sei secoli di storia da ben altri fiorentini. Il tutto, ovviamente, con l’aiuto del Pd-ex Pci, che ha sempre sofferto del fatto di non “avere finalmente una banca”, come disse, ricorderete, in un’altra analoga e amara vicenda, l’allora segretario Piero Fassino.

E, tuttavia, sarà anche perché il Natale è ormai alle porte, non sono certo le vicende bancarie a fiaccare il recuperato ottimismo degli italiani. Eh sì, perché a dicembre l'indice del clima di fiducia dei consumatori è aumentato al top da due anni, passando da 114,4 a 116,6. Fiducia che ha, evidentemente, pari riscontro anche nel fatturato dell’industria che a ottobre scorso ha registrato l’1,1% in rapporto al mese precedente e addirittura il +9,4% sull’intero anno.

Né preoccupa gli italiani, evidentemente, il dato secondo cui solo un posto di lavoro su 5, dei nuovi creati, è a tempo indeterminato, come ha segnalato in una nota sul precariato l’Inps. Anzi, a dirla proprio tutta, tra le assunzioni a tempo determinato appare significativo l'incremento dei contratti di somministrazione (+21,7%) e ancora di più dei contratti di lavoro a chiamata che, con riferimento all'arco temporale gennaio-ottobre, sono passati da 160.000 (2016) a 363.000 (2017), con un incremento del 126,4%. E questo significativo aumento – fanno notare gli esperti – può essere posto in relazione alla necessità per le imprese di ricorrere a strumenti contrattuali sostitutivi dei voucher, cancellati dal legislatore a partire dalla metà dello scorso mese di marzo e sostituiti, da luglio e solo per le imprese con meno di 6 dipendenti, dai nuovi contratti di prestazione occasionale.

Il fatto è che, in materia di lavoro, va comunque riferito il dato positivo di 1,2 milioni di contratti in più registrato negli ultimi due anni, come si legge nella nota congiunta sulle tendenze dell'occupazione diffusa alla stampa da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal. Dato che per la maggioranza di governo del Paese “è un fatto concreto” (il commento è di Titti Di Salvo, vicepresidente dei deputati del Partito democratico); mentre per l’opposizione si tratta semplicemente di una ulteriore analisi del terzo trimestre, che già da tempo era conosciuto. Insomma, “il governo continua a produrre un effluvio di dati sul mercato del lavoro, che impediscono una lettura obiettiva delle luci e delle ombre che lo caratterizzano” (e questo, appunto, è il rilievo dell’opposizione, in particolare del presidente della Commissione lavoro del Senato Maurizio Sacconi).

Né sembra – almeno per ora – preoccupare più di tanto gli italiani anche la pubblicazione dei recenti sondaggi, secondo cui la nuova legge elettorale, sulla scorta delle attuali intenzioni di voto dei cittadini, non produrrebbe una maggioranza di governo, ma anzi restituirebbe ai cittadini e all’opinione pubblica internazionale un paese spaccato in tre o quattro fazioni difficili ad apparentarsi.

E a proposito di “politica estera”, l’attenzione dei media questa settimana è stata particolarmente rivolta a due eventi: la riforma fiscale negli Usa, vale a dire, la riduzione al 21% dal 35% dell’aliquota delle tasse a carico delle aziende, che il presidente Donald Trump ha definito “una vittoria storica per gli americani”. Secondo, le elezioni per il rinnovo del Parlamento in Catalogna che hanno rafforzato la presenza degli indipendentisti alla guida della regione, i quali infatti hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi.

Sul fronte squisitamente finanziario, infine, da registrare la prima vera e significativa flessione del prezzo dei Bitcoin, la criptovaluta più famosa, che dal tetto quasi raggiunto di 20.000 dollari l’uno è crollato a sotto i 13.000 dollari, facendo – dopo aver scatenato la febbre all’acquisto – gridare nuovamente alla bolla. Ma non è ancora “panic selling”, almeno così sembra.


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