“I mini-bot o sono valuta, e quindi sono illegali, oppure sono debito, e dunque lo stock del debito sale“: tertium non datur.
Il presidente della Bce, Mario Draghi, non ha usato mezzi termini, a proposito dei nuovi strumenti di finanza pubblica proposti dal governo giallo-verde, approvati peraltro all’unanimità dai deputati italiani (tutti, maggioranza e opposizione) qualche giorno fa.
Finanza creativa? Invero, qualche osservatore ha ipotizzato anche di più: per l’agenzia di rating Moody’s, per dire, i mini-bot rappresenterebbero “un primo passo verso la creazione di una valuta parallela e la preparazione dell’uscita dell’Italia dall’Eurozona”. Il che equivale a dire che “il semplice fatto che la proposta sia tornata alla ribalta è credit negative“. Insomma, di questo passo c’è da aspettarsi un’altra cattiva pagella, all’inizio di settembre, quando appunto l’agenzia esprimerà la nuova valutazione sul rating italiano. (Sento già le voci, anzi, i toni accesi e le invettive di sovranisti e populisti, di destra e di sinistra, rivolte al potere economico manovrato dal cartello pluto-giudaico-massonico).
Ma che cosa sono, in effetti, questi mini-bot? Tecnicamente si tratta di titoli di Stato di piccolo taglio. Più propriamente, dunque, di titoli di debito che si affiancano a quelli già esistenti, vale a dire, i buoni del Tesoro con scadenza a 3, 6 o 12 mesi. Bot che attualmente già si possono sottoscrivere al valore nominale minimo di 1000 euro. Sicché i mini-bot avranno un taglio addirittura da spiccioli: 5, 10, 20, 50 e 100 euro. E saranno, perciò, nelle intenzioni di chi li propone, di aspetto molto simile alle banconote in circolazione.
La conclusione che se ne deduce è semplice: i mini-bot sarebbero utilizzati dallo Stato per pagare i propri creditori. Di contro, i cittadini potrebbero riutilizzarli per pagamenti in favore dello Stato, come le tasse, le utenze delle controllate pubbliche, o per fare benzina nei distributori Eni. Tanto più che i mini-bot non avrebbero scadenza né tassi di interesse. E via via, c’è da supporre, per regolare i conti tra privati.
D’accordo. Sull’utilizzo dei mini-bot Bankitalia è stata estremamente chiara: l’art. 128 del Tfue e il Regolamento EC/974/98 (agli articoli 2, 10 e 11) stabiliscono che “le banconote e le monete metalliche in euro sono le uniche con corso legale nell’unione monetaria”. Perciò i mini-bot avrebbero solo la funzione di “riserva di valore” e per questo sarebbero “del tutto simili a un titolo di Stato”.
Ad ogni modo, a me e a quelli della mia generazione i mini-bot ripropongono il ricordo dei mini-assegni bancari, un particolare tipo di denaro che circolò in Italia alla fine degli anni Settanta, in sostituzione delle monete metalliche, che in quel periodo scarseggiavano e che fino ad allora erano, magari, stati sostituiti da caramelle, francobolli, gettoni telefonici eccetera che i commercianti davano come resto. Erano gli anni, giusto per ricordare, della Lira e dell’inflazione a doppia cifra, della prima austerity e, appunto, della nostra gioventù. Anni non proprio felici, a pensarci bene. Ma magari saranno, questi, soltanto i timori di chi sta invecchiando.
Resta il fatto che i mini-bot sarebbero a tutti gli effetti titoli del debito pubblico, e quindi con la loro emissione il debito pubblico aumenterebbe. Non solo: il fatto che siano legati ai debiti della Pubblica amministrazione verso i privati non li rende comunque debito già emesso, ma nuovo debito. Appunto.
Insomma, parlare di rigore inteso come migliore allocazione delle risorse, di riduzione degli sprechi, di vera lotta alla corruzione e all’evasione, proprio no, vero? Eppure, sarebbe un parlare di sinistra. E forse anche di destra. A pensarci bene, di persone e governanti seri.
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